Febbraio ’94

Il giorno del fantomatico e tanto atteso “Buco” mi mancavano 6 giorni al congedo, alla tanto agognata “Alba”.

E come tradizione vuole, con un mezzo andiamo all’infermeria e ci fanno il prelievo del sangue per i controlli del caso.

E’ un piccolo rito che si ripete per tutte le reclute a fine Naja. Il Buco è un simbolo di liberazione, di passaggio ad un nuovo stato, ad una nuova presa di coscienza. alcuni ne sono tanto orgogliosi da farsi un tatuaggio attorno a quel buchino che resta per poche ore dopo che l’ago della siringa ha trapassato la vena per il prelievo.

L’Alba, la fine del periodo militare è talmente vicina che ormai le uniformi sono impallidite e il militare che la indossa è un “Fantasma”, un congedante.

E come tradizione vuole, siccome la colazione non l’abbiamo ancora fatta, saltiamo l’adunata per l’alzabandiera e ci gongoliamo tranquillamente davanti alla macchinetta del caffè vicino al piazzale, sotto la nostra Compagnia, un enorme caseggiato di tre piani. E’ il momento per un cappuccino schifoso ed una brioscina striminzita, in piedi ed ai quattro venti del mese di febbraio. Ma la tradizione per i soldati di leva è questa e noi ci godiamo bellamente il momento. Si chiacchera di quello che abbiamo passato e di quello che faremo. L’ abbronzatura dopo i mesi estivi passati a correre sotto il sole, le licenze a Lignano Sabbiadoro e soprattutto i tre mesi passati in terra d’ Africa è ancora lucente, i miei capelli biondo platino, le basette lunghe ed un ciuffo nascosto sotto il basco lascia capire che i capelli stanno ricrescendo liberi dalle ferree regole militari.

Ma all’improvviso i sorrisi si spengono quando arriva il capitano con passo deciso e ci urla contro un “Attenti!” che lascia poco spazio all’immaginazione.

Urla come spesso accade ma la frase che mi fa rabbrividire è: “Siete puniti! Sette giorni!” … Io innocentemente me ne esco con un “Ma io fra sei giorni mi congedo” (io ero l’unico dei 4 ad essere del “Primo giorno” ovvero arrivato in caserma un giorno prima degli altri e quindi il congedo arriva un giorno prima) e lui risponde con un sadico “Ed allora un giorno te lo sconti di IR!”

Succede un putiferio… nel pomeriggio ci troviamo nell’ufficio del capitano per chiedere una conversione della pena ed Andrea si inventa anche una commedia struggente in  lacrime in mia difesa… la pena mi viene così tramutata in 6 giorni. All’ ultima adunata il capitano mi minaccia davanti a tutto il plotone e me ne torno in camerata ad accorciare le basette, pena il mancato congedo….

Ma poco mi interessa, nel momento in cui saluto tutti ed indosso i vestiti civili, sotto la giacca ho la mimetica desertica che mi sono portato a casa dalla Somalia. Arrivato in stazione una rapida svestizione e sono sotto gli sguardi di tutti i viaggiatori.

Da Pordenone tornare verso Milano in treno è un lungo calvario, fatto già altre volte in questo intensissimo anno, ma stavolta il viaggio non pesa così tanto. Molti mi fermano e fanno domande, i reduci ammirati come fossero eroi, e la sensazione che si prova  è veramente straordinaria. Non per tutti vale la stessa cosa, nei mesi seguenti qualcuno mi fece anche sentire male insinuando “chissà cosa avete combinato laggiù!” ma chi mi conosce sa bene che il discorso non mi riguarda affatto.

Una cosa mi resterà sempre impressa: nel momento intenso dei saluti, soprattutto fra noi reduci dalla missione “IBIS” gli abbracci sono lunghissimi, scivola via qualche lacrima, mille promesse, mille parole. Fratelli nella notte, fratelli nella guerra. Non ci perderemo mai di vista.

Ma è una mezza bugia. Già dopo qualche tempo i silenzi si allungano, il lavoro e la famiglia assorbono tutto. Tutto comincia a sfocare. L’ avvento di Facebook fa spuntare nuovi gruppi di reduci, qualche nome disperso nei meandri del tempo. Partecipo ad una adunata di reduci, ma organizzata dai bersaglieri. Convinto di trovare decine e decine di persone ci ritroviamo in realtà fra pochi e molti sconosciuti.  Non importa, siamo stati comunque fratelli sotto il cielo africano, sotto il puzzo di morte di Mogadiscio, sotto le corazze dei blindati, degli elmetti in kevlar, sotto la bandiera italiana e la bandiera azzurra con la stella bianca al centro. Ma dei miei fratelli non c’è nessuno. Occasionalmente qualche scambio di messaggi con i pochissimi, altri totalmente spariti da quel lontano febbraio.

I ricordi sbiadiscono e si confondono. Sbucano libri come piovessero su quel periodo ormai così lontano. Ognuno dice la sua, ognuno ricorda a modo suo.

Il mio libro lo avevo iniziato quando ancora calpestavo la fine sabbia immacolata del Corno d’Africa. Poi avevo tentato da dattilografo autodidatta, di riscriverlo meglio e renderlo presentabile. poi a tratti tutto svaniva e la voglia di scrivere tornava solo dopo anni, coi ricordi sempre più sfocati. Il rileggere libri usciti in questi mesi ravviva in me la voglia di ristampare il tutto, di far conoscere anche il mio punto di vista. Manca sempre la scintilla iniziale.

Quel giorno, dalla Centrale di Milano a casa mia il treno è semideserto, al mio paesino scendo da solo.

Febbraio ’94ultima modifica: 2020-10-10T22:11:11+02:00da vividistinto
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