La Galleria prima del Vuoto

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E’ un inverno freddo e nevoso.

Pier ha ritrovato un nuovo ingresso in una zona dove anni prima avevo visto dei buchi soffianti, ma come tante altre cose finite poi nel dimenticatoio. Lui ha iniziato a scavare. E dai e dai. Un mercoledì cerco di dare manforte a scavare. Il week-end successivo anche. Una squadra riesce a passare la strettoia di ingresso ma dopo pochi metri di nuova grotta si deve fermare al primo saltino vergine per mancanza di corde.

Pier è fermo al lavoro causa neve. Io sono cassintegrato, periodo no. Nervosismo e tempo libero, tensioni e pensieri. Basta una telefonata, lui dice che mercoledì mattina Pamela ha preso una giornata di ferie. Basta quello per mettere in carica la batteria del trapano e preparare frettolosamente lo zaino.

E’ ancora buio quando ci troviamo per una abbondante colazione, siamo gli unici in giro in questa zona della montagna. All’alba siamo al parcheggio dove smistiamo i materiali, io per alleggerire lo zaino lascio fix e moschettoni a qualcuno, ma per fare ciò distrattamente tolgo la tuta speleo dallo zaino e la appoggio tra l’abbondante materiale che c’è sulla macchina. Partiamo alla volta del Rifugio Martina. Fa freddo ma sopportabile, c’è un sacco di neve appena caduta. Il primo tratto di sentiero è abbastanza agevole e nonostante il pesante carico che ha ognuno di noi ci affrettiamo nella risalita. Dopo il rifugio bisogna battere la traccia. E’ l’inizio di un incubo. Sprofondiamo nella neve sempre di più. Io con le ciaspole cerco di segnare un minimo di sentiero, arranchiamo. Però senza indugiare. Intorno il silenzio è speciale. Tutto attorno i suoni sono attutiti dal candido manto nevoso. Gli unici rumori sono i nostri passi sulla massa nevosa, impietosa, ci mette seriamente alla prova. Dopo quasi quattro ore però raggiungiamo finalmente il nuovo ingresso. Siamo già stanchi prima ancora di entrare in grotta ma non sappiamo cosa ci aspetta, magari il pozzo finisce li e ci tocca tornare indietro.

Iniziamo a prepararci frettolosamente, ma subito la pessima sorpresa: la mia tuta è rimasta alla macchina. La decisione è una sola, metto il sottotuta in pile e mi tengo i vestiti che ho addosso. La mia mimetica dovrebbe essere abbastanza resistente all’usura, un po’ meno all’acqua.

Parte Pier, poi Pamela mi fa strada e mentre scendiamo i primi metri cerchiamo di allargare ulteriormente la strettoia, ci sarà utile in uscita vista la gran quantità di fango e l’aria che esce furibonda. Si entra subito in una breve galleria camminabile e si passa poi su una cengia scivolosa ed esposta, pochi metri ancora ed ecco il primo pozzettino. Sembrano pochi metri.

Essendo io il più ‘anziano’ in merito, viene lasciato a me il compito di armare la calata.

Cerco di centellinare il materiale ma comunque tre ancoraggi vanno subito posizionati.

Scendo.

L’emozione di ritrovarmi ancora una volta in un ambiente inesplorato dove io sono il primo a metterci piede. E’ un mix di gioia, stupore e reverenziale paura.

C’è materiale di crollo e l’inclinazione della galleria mi fa indugiare, ma l’adrenalina e la curiosità fanno il resto.

Scendo in una ampia sala. Per la prima volta questo vuoto nella montagna vede una luce. Sembra che mi parli. Mi sento osservato, la montagna mi sta chiamando ma ci dobbiamo ancora sintonizzare sulla stessa lunghezza d’onda. Ogni montagna ha la sua lingua, ogni grotta il suo silenzio. La nostra civilizzazione ci ha fatto perdere quel senso e quell’istinto che legano gli esseri viventi e la Terra Madre.

Percepisco qualcosa ma ancora sono troppo distratto. Punto la mia fioca luce tutto intorno. Mi concentro sul vuoto buio che ho intorno, sopra di me, cerco una via, cerco una galleria, un camino, una finestra che mi indichi la via. Vedo delle gocce che cadono dall’alto della volta oscura mentre i miei compagni d’avventura si avvicinano a me stupefatti anche loro della prima grande sala.

Ci complimentiamo a vicenda, ci guardiamo intorno ma con una sorta di amaro in bocca.. ‘Beh, ma è tutto qui?!?’ Comincia ad assalirci un minimo di delusione. Penso che è una nuova bella sala sotto il Monte, ma possibile che sia finita qui?

Cerco di risintonizzarmi e concentrarmi, ma cosa sto cercando realmente? Dove potrebbe continuare la grotta? Su o giù? La risposta nasce da se, è ovvia, mi abbasso carponi, sposto due sassi e di nuovo il nero si presenta davanti a me.

L’adrenalina questa volta esplode. La pendenza non mi da fiducia e metto subito un fix per creare un corrimano mentre cautamente scendo la galleria il cui pavimento non è altro che una grossa frana. Le pareti sono solide, i fix tengono bene, scendo ed appena posso metto il corrimano in tensione con un secondo fix. scendo ancora un po’ ed ecco un nuovo pozzetto. La grotta si svela. Il pavimento resta formato da materiale di crollo ma le pareti cominciano a dare un aspetto sempre più maestoso agli ambienti.
Un nuovo pozzo mi si presenta davanti ma il materiale comincia a scarseggiare e la stanchezza a  salire. Sto forando sempre col braccio sinistro dato la conformazione della grotta ed il braccio comincia a farmi male. Preparo l’ennesimo nodo a coniglio, mi calo cautamente nell’ennesimo vuoto, stavolta il nero sotto di me è maggiore e gli ambienti ben più grandi. Un altro frazionamento, cerco fra la ferraglia appesa alla imbragatura ma trovo solo un moschettone con placchetta. metto il fix, preparo l’armo e mi organizzo per la calata. La corda sfrega leggermente sulla parete, ma la roccia è ben levigata e non ho altro materiale a disposizione, neanche per un armo naturale. Mi calo. La corda scivola cigolando nel discensore. Trasudo adrenalina. Sale la tensione. Atterro poi sull’ennesimo pavimento in frana. Siccome i massi non mi danno fiducia e temo che si mettano a rotolare al mio tocco, decido di restare comunque appeso alla corda, una sorta di sicura psicologica che mi guida lungo la discesa. Arrivo al fondo della galleria e le pareti si stringono. Arranco ancora un po’, su e giù dagli enormi macigni, la galleria piega a sinistra a 90° secchi. Stringe, si rigira a destra e sparisce nel nero.

Davanti a me una sorta di fioco bagliore mi si palesa davanti quando muovo la torcia nell’immenso buio.

Torno sui miei passi di qualche metro. Con la voce tagliata da emozione e stanchezza chiamo gli altri che si stanno affrettando nella discesa ed esclamo che questo ennesimo vuoto da esplorare, lo dobbiamo scoprire insieme. Scendiamo, credo con gli occhi lucidi. Il cuore sembra una batteria metal dentro me. L’emozione indescrivibile.

La sala sembra enorme. Il bagliore che avevo intravisto era il riflesso della mia luce su un enorme specchio di faglia di diverse decine di metri. Lunghe colate di concrezioni millenarie si sono pietrificate sulla piatta roccia. Da ciò prenderà nome il ‘Muro del Pianto’. Tutto attorno il silenzio è interrotto da sporadiche gocce e dal vociare delle nostre emozioni. Giriamo frettolosamente la sala, una enorme colonna di concrezione spezzata in due fa da guardia a questo vuoto.

Cerchiamo una nuova via ma è tardissimo, ed in ogni caso siamo senza materiale d’armo. Forse inutile proseguire per oggi, anche se, nonostante la stanchezza, la voglia di restare è tanta. Ma decidiamo per la risalita in superficie.

Il viaggio non è lunghissimo ma comunque le ore passano, ed una volta usciti dalla grotta, il sentiero di ritorno è infinito La discesa è veloce ma fra la neve ed il ghiaccio arriviamo alla macchina sfiniti. Non importa, l’adrenalina è ancora alle stelle, ci salutiamo entusiasti, frettolosamente, ci abbracciamo. La discesa in macchina verso casa è altrettanto veloce, incrocio nella notte un piccolo branco di mufloni e qualche capriolo spaventato dalle luci abbaglianti. varco la soglia di casa che l’orizzonte comincia a schiarire. Sono passate più di 24 ore da quando ero uscito ieri. Un giorno intenso, emozionante, un giorno di quelli che nel bene e nel male ti cambia la vita.

Anche in questo caso i ricordi sbiadiscono, ma le emozioni restano.

 

“Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”   ( Friedrich Nietzsche )

La Galleria prima del Vuotoultima modifica: 2019-10-26T23:01:03+02:00da vividistinto
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