Il caldo soffio della Paura che genera Brividi di Ghiaccio

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Sono giorni estremamente intensi quelli che sto vivendo quaggiù. Sono a pochi chilometri da Mogadiscio. Uno dei tanti inferni sulla Terra, e durante lo svolgersi di uno dei peggiori eventi del XX° secolo.

Sono un paio di mesi che sto vivendo nella periferia di Balad, Somalia. Sulla mia mimetica colore del deserto una toppa blu con la sigla O.N.U., tutto intorno una guerra civile di bestiale intensità, una missione che sa poco di umanitario e sabbia infinita, impregnata di sangue.

L’estate italiana l’ho passata fra Pordenone, l’addestramento speciale ad Aviano, e le licenze tra Lignano Sabbiadoro e Venezia. Finita questa estate di sudore, emozioni e zanzare, l’aereo è atterrato in questo mondo perduto. Il caldo è straziante. Il sole intenso. I miei capelli sono diventato quasi bianchi, imbionditi ulteriormente dai potenti raggi solari. La mia pelle abbronzata come non mai. Le occhiaie nere e profonde. Dormo occasionalmente. Normalmente mi occupo dei nostri due check point, ‘Torre’ e ‘Torre 1’. Dalle 6:00 alle 18:00, o dalle 18:00 alle 6:00 più preparativi o smonta. Qualche volta riesco a dormire la notte in tenda ed è fantastico, le altre volte che dovrei riposare di giorno il caldo è opprimente, impossibile dormire e comunque spesso monto come piantone, corvee mensa, trasporto cambio della guardia o vettovagliamento agli altri check-point, dal Pastificio in su, verso nord, fino appunto a ‘Torre’. Ogni tanto qualche ‘Missione Speciale’ tipo sfollamento di profughi, distribuzione viveri e quant’altro. Il nostro plotone è sotto organico dopo il rimpatrio imprevisto di diverse persone. I compiti da svolgere sono tanti ed il caldo non perdona. Dovrebbe arrivare la stagione delle piogge tra qualche settimana ma per ora la temperatura è devastante, l’attrezzatura che ci portiamo addosso pesa più di me e la stanchezza di questo periodo comincia a farsi sentire. Intensamente.

Domani partiremo per ‘Itala’. Partenza prestissimo, per l’alba i mezzi dovranno essere in moto. Tanti chilometri ci separano dalla nostra meta, un percorso completamente sterrato in questa landa deserta dove tra le secche sterpaglie e gli spinosi arbusti si nascondono pochi animali selvaggi e selvaggi cecchini o ‘briganti’ attaccabrighe…

Al posto del giaccone antiframmentazione devo indossare il giubbotto antiproiettile in kevlar. E’ rigido, scomodissimo e pesantissimo, ed io ho un camion da guidare con 10000 litri di acqua per l’autocolonna. Il mio capomacchina è Fabrizio, un v.f.p. friulano simpatico e severo. Non è molto loquace e di tanto in tanto ci diamo il cambio alla guida. Il motore degli ACM, un 5500 turbodiesel con tanto di trazione integrale e ridotte, è posto tra i due sedili anteriori. Se fuori ci saranno 45° all’ombra, dentro la cabina è un forno. L’acqua delle borracce è Calda da poterci fare il the.

Lo sterrato è insidioso ma guidando in queste condizioni (e a quell’età… ) è decisamente faticoso quanto divertente. Teniamo velocità molto elevate e quando le condizioni lo permettono ci lasciamo andare in qualche ‘esibizione’ alla Miki Biasion, idolo di tutti i ragazzi dell’epoca. Arriviamo in un boschetto di acacie spinose, le spine sono di 3,4, o 5 centimetri, dobbiamo tenere chiusi i finestrini dato che i rami arrivano all’interno della cabina con poderose frustate. Il mezzo davanti al mio ACM ha un attimo di titubanza, lo vedo rallentare, curva leggermente a sinistra e lo vedo barcollare ed ondeggiare. Una profonda pozza fangosa fa sprofondare i pneumatici almeno 30 centimetri ed i mezzi sono ostacolati. Ma me ne accorgo troppo tardi, punto il mezzo tutto a destra tentando di scavalcare il profondissimo solco lasciato dagli altri camion ma le ruote slittano e scivolano in questi binari di fango. La cisterna dell’acqua che trasporto è piena ed il baricentro del mio camion è altissimo. Tento un’altra volta di scavalcare ma il peso è troppo elevato, anche con la seconda marcia ridotta procedo all’interno del fosso. E’ un attimo ed a un certo punto il mezzo comincia a ciondolare bruscamente: l’acqua del serbatoio mi porta giù verso terra, la sento ondeggiare ed ogni colpo verso sinistra vedo la sabbia dal finestrino avvicinarsi sempre più. Una AR dietro di me comincia a suonare il clacson, nel frattempo Fabrizio che si era appisolato sul sedile, si sveglia di soprassalto, quasi cadendomi addosso, urla ‘che cavolo succede?!?’ e si sporge dal suo finestrino cercando di mettersi in salvo! Io insisto di acceleratore e lascio che il camion segua la buca ma continuando a sterzare dolcemente. Dopo lunghi momenti di assoluta paura esco dal pantano. Il tenente mi urla incazzato nero che avevo la ruota posteriore destra sollevata di mezzo metro e dentro di me convengo che sia stato un vero miracolo che non mi sia ribaltato con tutta la cisterna al seguito.

Ma il viaggio prosegue. Nel tardo pomeriggio arriviamo a destinazione. Il posto prescelto dove ci accamperemo è una grossa costruzione di epoca coloniale. Anche qui, probabilmente, il duca degli Abruzzi ci aveva messo lo zampino. Sul tetto abbiamo un ottimo punto di vista su tutti i dintorni, cioè l’Oceano Indiano ad est ed il deserto ad ovest. Si stabiliscono turni di guardia, ben più rilassanti di quelli a Balad o nei vari check-point. Qui vicinissimo c’è un villaggio di pescatori, ovviamente in un attimo arrivano tutti i bambini della zona. Qui sono proprio pochi a conoscere la nostra lingua, troppo distanti le città o le scuole. Ci sono piccole tende vicino al mare. Una è abbellita da due enormi gusci di tartaruga, è la prima volta che ne vedo in vita mia. La spiaggia è bianca, non c’è solo sabbia, anzi direi che la percentuale maggiore non è di granelli di silicio ma frammenti di conchiglie, coralli, pezzi enormi di coralli, alcuni lisciati dall’erosione, altri che sembrano appena approdati alla spiaggia immacolata. la barriera corallina circonda tutta questa zona, oltre un mare infestato di squali e… scorie radioattive inabissate ( ma questo verremmo a saperlo solo parecchio tempo dopo ). Insomma, un piccolo angolo di paradiso.

A metà pomeriggio ci permettono un breve bagno nell’Oceano. Qualcuno monta di guardia, armati sulla spiaggia, gli altri in mutande per qualche minuto di vero relax. Lacqua sembra quasi torbida, la sabbia è talmente sottile che resta in sospensione sulle onde. Appena fuori dall’acqua il vento ci asciuga violentemente e la salsedine all’improvviso si solidifica sulla pelle. Il mio camion trasporta una enorme cisterna di acqua per il viaggio e li possiamo darci una veloce sciacquata. Intanto gli uomini del villaggio tengono lontane le donne, quasi arrabbiati per il fatto che noi siamo seminudi in spiaggia e a loro non va. Arrivano le 1800, è l’ora del tramonto e come per magia improvvisamente migliaia di enormi granchi rossi escono dalle acque, correndo sul bagnasciuga, tutti insieme, sincronizzati da chissà quale orologio naturale. Tra noi, Luca, un esperto pescatore, corre qua e la, aiutato da altri intrepidi ed una volta acchiappati 5-6 granchi ci apprestiamo a preparare un selvatico sughetto con quel poco che abbiamo tra le provviste. Mentre ci accingiamo a preparare gli spaghetti, arriva il S.M. Gatti chiedendomi il coltello (Un grosso bowie da combattimento della Fox) dato che lui ha recuperato delle cernie ed orate da alcuni pescatori. Lui pulisce il pesce, noi accendiamo il fuoco. Siccome non abbiamo nulla per poter grigliare, utilizziamo delle piastre antisabbia montate sui camion da utilizzare a mo di graticola. Non avendo sale o condimenti il pesce non resta prelibato ma è comunque un’ottima alternativa alle razioni “K”. Ci prepariamo quindi subito per la prima notte. Dopo la cena campale estremamente frugale gli animi si rilassano decisamente. Siamo in un posto meraviglioso, deserto ed in riva all’Oceano Indiano. Il cielo è un cielo indescrivibile, la Luna fa brillare la sabbia di un chiarore cinereo incredibile, le onde spumeggianti non troppo lontane, un vento continuo porta sabbia impalpabile fin dentro al cuore.

Il giorno seguente ancora qualche lavoro da sbrigare poi stiamo coi bambini. scambiamo di tutto, noi abbiamo un sacco di cibo a lunga conservazione, medicinali, loro meravigliose conchiglie  e fantastiche mandibole di squalo. Facciamo foto con loro, giochiamo ad arrampicarci sulle palme da cocco, cerchiamo di fare amicizia in qualche modo, nonostante le difficoltà del caso. I sorrisi e l’affetto di quella gente poverissima e così sfortunata resteranno con me per tutta la vita. Loro gente così pacifica e devota alla natura che li circonda e sfama, succubi di una guerra fratricida tra le più cruente della storia.

La giornata prosegue fino al crepuscolo, ora della meritata cena. Mi sono portato anche un cocco da ‘casa’ ovvero dalla tenda. Bibi, la mia amica somala del mercatino di Balad me lo ha regalato. Il solito tenente mi guarda ed esclama ‘ma come cavolo lo apri ora?’. Io allungo la mano sul fodero nero ed estraggo il mio Fox, appoggio il cocco sulla portiera della Jeep che ho vicino a me e con un colpo secco taglio in due il cocco e segno anche il metallo del mezzo. Fox è una eccellenza in fatto di coltelli da combattimento.

Soddisfatto Faccio per porgere mezzo cocco al tenete, ma lui punta lo sguardo alle mie spalle ed esclama ‘Due mezzi in avvicinamento sulla pista! Sono sicuramente trafficanti di armi, Fermiamoli!’

In un attimo reinfodero il coltello, prendo il giubbotto, elmetto e sono pronto, il fucile è già carico e mi basta togliere la sicura, io ed il tenente siamo i primi a correre giù da quella piccola altura, verso la pista, al seguito altri due che ci seguono, i più ritardatari sono poche decine di metri dietro di noi. I fari dei due mezzi che stanno arrancando sulla pista sabbiosa si avvicinano sempre più sono a pochi metri da me. Con non so quale sangue freddo Il tenente si piazza in mezzo alla pista intimando l’ ALT, io e altri due siamo sul lato della pista, fucili spianati sui guidatori. Nei mezzi più persone si agitano ma l’oscurità nasconde tutto. Ovviamente mi aspetto dei colpi di arma da fuoco dai mezzi e la mia tensione è altissima. Il vento è caldo, lungo la schiena scorrono rivoli di sudore ma brividi gelati mi scuotono. Arrivano urla dai mezzi e sopraggiungono altri militari sull’altro lato della pista, ed ovviamente anche loro puntano i fucili ai mezzi. Peccato che dall’altra parte dei due fuoristrada ci siamo noi! E’ il panico, tutti urlano qualcosa ed all’improvviso i due mezzi cominciano ad indietreggiare, manovrando a caso nel buio. Allora è ancora peggio, Qualcuno cerca di reagire al tentativo di fuga ed io urlo ‘NON SPARATE!!!’ Fortunatamente tutti si rendono conto poi della situazione due volte pericolosa, Il tenente sbatte vigorosamente un pugno sul cofano del mezzo davanti a lui continuando ad intimare l’ ALT! ed i soldati si schierano più frontalmente rispetto ai mezzi. Questi sentendosi poi in assoluta minoranza si fermano ed a un certo punto un conducente chiede di essere ascoltato. La tensione è alle stelle ma le canne dei fucili sono ancora fredde…  facciamo scendere tutti, scattano le perquisizioni e le ispezioni si mezzi.

Niente di che. Si tratta a quanto pare di pescatori al rientro verso casa in un altro villaggietto sperduto sull’infinita costa somala. Fosse partito un solo colpo per sbaglio, con quella tensione alle stelle, probabilmente sarebbe stato una tragedia, una carneficina. I pescatori spaventati ci avevano scambiati per briganti e viceversa.

Il cuore è ancora euforico, una scarica adrenalinica incredibile di momenti intensi e spaventosi, una paura mai vissuta, una consapevolezza mai provata. Una assurdità totale.

Dopo le paure la missione cambia decisamente faccia. Il giorno seguente dobbiamo rientrare ma un automezzo guidato in malo modo sul bagnasciuga resta in balia dell’alta marea, si danneggia e tocca rimorchiarlo pesantemente per gli oltre 90 chilometri che ci separano dal campo. Durante il frustrante viaggio un altro mezzo si danneggia, idem i cavi che fungono da tiranti per i due camion in panne. Non abbiamo più acqua potabile avendola lasciata totalmente al villaggio ed il viaggio si trasforma in un calvario di oltre 12 ore. Il caldo, il motore bollente dell’ACM proprio a metà tra i posti in cabina e la stanchezza ci sfiancano. L’ arrivo a Balad in piena notte, non c’è più neanche l’acqua per le docce e tocca arrangiarsi a bottiglie di acqua “Norda” (Quella che nasce dalle mie amate Grigne). Il successivo riposo, come sempre troppo breve.

Il tempo cancella una parte dei ricordi, le emozioni pero’ restano, indelebili e pungenti.

Un diario sgualcito ed impolverato, vicino un mazzo di fotografie. Li, si racchiudono pochi mesi di parole, pensieri e scatti lasciati in un angolo della libreria, in un angolo di cuore. I pochi giorni che cambiano tutta una vita.

Gli anni sono passati e la Somalia non è cambiata. Noi invecchiamo, le guerre no.

 

“Solo i morti hanno visto la fine della guerra” ( George Santayana )

Il caldo soffio della Paura che genera Brividi di Ghiaccioultima modifica: 2019-10-22T00:00:50+02:00da vividistinto
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