Parte III°

Mio padre credo non sia mai stato contrario al mio “andare in grotta”. Anzi sotto sotto penso ne sia sempre stato lievemente affascinato.

Abbiamo sempre avuto tante passioni in comune, la montagna sopra tutte, anche perché è stato proprio mio padre a svezzarmi a questo mondo, facendomi muovere fin dai primi passi in ambiente montano.

E non poteva tardare troppo il momento in cui chiese: “ma allora quand’è che mi porti a fare un giro in grotta?” …

Non lo feci aspettare ovviamente. La tappa prescelta per svariati motivi era ovviamente la Grotta Tacchi.

La vestizione è la classica. Ai tempi avevo un sottotuta autocostruito in pile blu con scoiattoli e moffette che indossò lui. io mi adattai. tute ne avevo ed attrezzature idem. Breve avvicinamento di pochi minuti e lo stupore classico per i neofiti alla vista dell’ingresso grotta.Classica apertura nascosta e soprattutto stretta. All’ingresso noto un minimo di titubanza che però svanisce dopo i primi metri di percorrenza.

La prima strettoia mi fa notare l’incredulità nello sguardo di mio padre. Ma l’ostacolo non è troppo impegnativo e la sua curiosità tanta… La condotta porta a breve al primo salto. Mi affretto ad attrezzare su un vecchio spit ed un nuovo fix. La parete è crivellata di fori e chiodi malmessi o arrugginiti. Ripetiamo insieme la lezione di utilizzo degli attrezzi dopodiché calandomi attrezzo la seconda parte della progressione, senza scendere a base pozzo ma aspetto e controllo il ‘papi’ che comincia a calarsi. In breve siamo alla base del pozzetto e proseguiamo il cammino. Condotta, saltino con corrimano in zone strette, traverso esposto ma breve, strettoia ed in breve siamo a quello che avevo soprannominato la stazione della “Linea Rossa” del metrò. Il fragore dell’acqua che scorre in profondità crea un frastuono che riempie le pareti della grotta. Noi siamo ancora lontani dall’acqua ma la sensazione che provoca questo suono è troppo bella, curiosa,anomala quasi. La curiosità cresce. Io attrezzo velocemente con un nodo a coniglio e sfilo i sessanta metri di corda che ci accompagneranno nella discesa di questo antico scivolone ricoperto di argilla.

 

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Mentre lui si destreggia col discensore io lo accompagno controllandolo passo a passo ed in breve siamo sopra i massi ripuliti dalla furia delle acque. Quel giorno il livello era decisamente basso. Indecisi se proseguire confabuliamo un po’. Mangiamo un panino col salame, uno di quei panini che si gustano in modo particolare, assaporandolo con un mix di polvere di argilla ed emozione.

La decisione è di tornare sui nostri passi. La mia bombola carica di carburo, ormai è in realtà…affannata, scoppietta e la fiamma languida si sta affievolendo. Risaliamo lo scivolone. La mia fiammella arranca peggio di me. La torcia elettrica di mio padre si sta colorando. Dapprima era di un giallo ben vivo, ora sembra decisamente di colore più ‘caldo’, tendente all’arancio. Si sta scaricando…. Accelero il passo ma la forte umidità certo non aiuta la mia fiammella alimentata dal poco acetilene rimasto. non ho voglia di scarburare proprio ora. Accendo anche io l’elettrico. Ma mi sembra non faccia una gran luce. Beh si è proprio il momento di accelerare il passo. Il traverso è fatto, ma il carburo mi abbandona. Prima della risalitina le luci elettriche sono proprio ridotte all’osso e mio padre si sbilancia con un “ma sei sicuro che dobbiamo fare cosi’?” Non ho proprio voglia di scarburare, Proseguiamo il cammino nella quasi oscurità, con un’altra torcettina di emergenza da tasca. Ormai siamo quasi fuori. Risaliamo il salto iniziale, disarmo il tutto senza neanche filare la corda ma la metto alla rinfusa nel sacco già strapieno. A fatica usciamo dall’ultima strettoia e poi finalmente la condotta che ci porta alla luce esterna.

 

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Il cammino a ritroso in leggera salita è lento. La stanchezza e le emozioni delle ore passate sottoterra si fanno sentire. Poche parole tra di noi, ma una volta in macchina la tensione si scioglie e le chiacchiere aumentano e i discorsi si infittiscono.

Nei giorni successivi mio padre mi riprese più volte per la fatica, le difficoltà, e le solite cose che si dicono. Ma in seguito venni a sapere da qualche suo amico del bar che lui si vantava abbondantemente della piccola avventura di quel sabato.

Nonostante tutto, e nonostante le successive escursioni in altre grotte, ad ogni occasione che gli capita, mio papà rivanga l’argomento e, col sorriso stampato in faccia, mi riprende di nuovo, ricordando le fatiche di quel giorno, e del pane-salame-barbera che ci accompagnarono per pranzo!

Parte III°ultima modifica: 2019-09-21T09:47:08+02:00da vividistinto
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